POST 282
La Corte di
Cassazione, con sentenza n. 11504 del 10 maggio 2017, è tornata recentemente
sui presupposti di attribuzione dell’assegno divorzile mutando il proprio consolidato orientamento. La legge sul
divorzio subordina il diritto
all’assegno alla specifica circostanza di fatto che il coniuge “debole” non
abbia mezzi adeguati o non sia in grado di procurarseli per ragioni oggettive.
L’art. 5, comma sesto, L. div., riformato dalla L. 74/1987, non fornisce tuttavia
alcuna definizione dell’ “inadeguatezza” dei redditi dell’ex coniuge, la cui
valutazione va quindi rimessa al controllo giudiziale. In mancanza di una
indicazione legislativa, è stata la giurisprudenza a suggerire al giudice del
divorzio i parametri per fissare la somma dovuta
periodicamente a titolo di assegno divorzile, facendo finora costantemente
riferimento al “tenore di vita” goduto dall’ex coniuge bisognoso. Si è quindi
stabilito che quest’ultimo avesse diritto ad una prestazione periodica quando le
sue condizioni reddituali dovessero ritenersi insufficienti in relazione al
livello di vita mantenuto nel corso del matrimonio o, addirittura, in relazione
alle aspettative ragionevolmente maturate nel corso del matrimonio stesso (vedi
ad esempio Cass. 11490/1990).
Con la citata sentenza
innovativa del 2017, la Cassazione ha anzitutto chiarito che nel procedimento
di divorzio si configurano due fasi: nella prima (fase c.d. dell’an debeatur) il giudice accerta l’inadeguatezza dei redditi in capo all’ex
coniuge che chiede l’assegno divorzile, senza procedere ad una indagine
comparativa dei redditi dei coniugi; nella seconda, solo eventuale, in caso di
esito positivo della precedente, il giudice quantifica la somma dovuta (fase
del quantum debeatur).
Con riferimento al giudizio
sulla mancanza di “mezzi adeguati” in capo al coniuge richiedente (o comunque,
dell’impossibilità “di procurarseli per ragioni oggettive), la Cassazione
rettifica, dopo trent’anni di consolidato orientamento, i presupposti
dell’assegno divorzile, ritenendo non
più attuale il richiamo al tenore di vita dei coniugi. E ciò in base ad una
serie di argomenti. Anzitutto, con la sentenza di divorzio gli ex coniugi
riacquistano lo status di persone
singole e il rapporto matrimoniale si estingue, con la conseguenza che ogni
riferimento al pregresso rapporto (anche
limitato alla sola dimensione economica) si risolve in un’indebita ultrattività
del vincolo coniugale. Inoltre, il parametro del “tenore di vita” indurrebbe
inevitabilmente a confondere le due fasi dell’an e del quantum debeatur,
in contrasto col dettato dell’art. 5, comma sesto, L. div., e con la stessa
volontà del Legislatore del 1987, ancorché implicitamente, ispirato al
principio di autoresponsabilità economica dei coniugi dopo il divorzio. La
Cassazione dà atto che ragioni socio-culturali impongono di superare la
concezione patrimonialistica del matrimonio come “sistemazione definitiva” e
suggeriscono di non ostacolare la costituzione di una nuova famiglia da parte
dell’ex coniuge.
Quanto alla funzione
dell’assegno divorzile la Suprema Corte ne ribadisce quella esclusivamente
assistenziale volta non al riequilibrio delle condizioni economiche degli ex
coniugi, ma al conseguimento dell’indipendenza economica del c.d. coniuge
debole. Tale criterio della “mancanza di indipendenza economica,” troverebbe il
proprio fondamento, oltre che sul
piano comparatistico, anche sull’estensione analogica dell’art. 337 septies c.c., relativo al diritto del
figlio maggiorenne a un assegno periodico. Secondo questa prospettiva, se
l’indipendenza economica fa venir meno il diritto del figlio maggiorenne
all’assegno periodico, nonostante la stabilità dello status filiationis e la garanzia costituzionale del mantenimento,
essa può, a maggior ragione, condizionare negativamente il diritto all’assegno
di divorzio, in una fattispecie in cui vi è la perdita definitiva dello status di coniuge.
La stessa Cassazione
suggerisce alcuni indici, in base ai quali compiere l’accertamento
dell’indipendenza economica (redditi, cespiti patrimoniali mobiliari e
immobiliari, capacità ed effettive possibilità di lavoro personale, stabile
disponibilità di una casa di abitazione), oltre a eventuali altri elementi
rilevanti nel caso concreto. Conclusa la prima fase dell’an debeatur con esito positivo, il giudice è chiamato alla
determinazione concreta del quantum
dell’assegno, avendo riguardo a tutti gli elementi indicati dalla legge
(“[…] condizioni dei coniugi, […] ragioni della decisione, […] contributo
personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla
formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, […] reddito di
entrambi […]”), anche in rapporto alla durata del matrimonio.
Il Tribunale di Milano, che
per primo ha fatto applicazione dei
principi fissati nella citata sentenza (Cass. 11504/2017), suggerisce un
criterio composito: una soglia minima standard
della capacità economica dell’ex coniuge richiedente e un indice rivolto ad
adattarla alle circostanze del caso. Se, in linea di massima, infatti,
l’indipendenza economica potrebbe dirsi raggiunta qualora il patrimonio del
coniuge, valutato secondo i riferimenti suddetti, si attesti al di sopra dei
requisiti per accedere, secondo le leggi nazionali, al patrocinio a spese dello
Stato (soglia che, ad oggi, è di Euro 11.528,41 annui ossia circa Euro 1.000
mensili), il Tribunale di Milano suggerisce di verificare in concreto il
risultato della valutazione, confrontandolo con il reddito medio percepito
nella zona in cui il richiedente vive ed abita (Trib. Milano, sez. IX civile,
Ord., 22 maggio 2017).
Il revirement della Cassazione
espresso con la sentenza Cass. 11504/2017, è stato confermato in più occasioni
dalla stessa giurisprudenza di legittimità (Cass. civ., sez. I, 22 giugno 2017,
n. 15481, in un giudizio di revisione delle condizioni di divorzio, e, da
ultimo, la pronuncia Cass. civ., sez. VI, Ord., 29 agosto 2017, n. 20525).
Sulla base di questo nuovo quadro interpretativo, sembrano esservi gli
spazi, in astratto, di una revisione dell’assegno divorzile ove stabilito dal
giudice con finalità conservativa del tenore di vita goduto in costanza di
matrimonio.
Nel procedimento giudiziale di revisione ex art. 9, L. div., deve essere
valutata in concreto, secondo i parametri sopra ricordati, l’indipendenza
economica dell’ex coniuge beneficiario al fine di revocare la previsione
dell’assegno stesso.
Avv. Emanuela Andreola