POST 107/2021
E’ noto che la consolidata giurisprudenza della Corte di Cassazione ammette la presunzione di distribuzione ai soci, sotto forma di utili occulti, dei ricavi non dichiarati dalle società di capitali a ristretta base partecipativa, con facoltà di prova contraria (negativa) da parte del contribuente.
Il Supremo Collegio, con una recente ordinanza, ribadisce altresì che gli utili extra-bilancio, “una volta accertati per altra via, -appunto presuntiva- vanno imputati in misura intera e non ridotta”, dovendosi escludere l’estensione alla fattispecie della regola secondo cui gli utili distribuiti dalle società di capitali concorrono alla formazione del reddito imponibile complessivo limitatamente al 40% del loro ammontare.
E’ ben vero -come afferma la Corte nella propria decisione- che “la norma di riferimento all’epoca dei fatti applicabile (art. 47, comma 1 d. lgs. n. 917 del 1986) faceva riferimento agli ‘utili distribuiti in qualsiasi forma e sotto qualsiasi denominazione dalle società’.
E’, tuttavia, altrettanto vero che la norma proseguiva citando, come fonti della presunzione reddituale, il bilancio dell’esercizio e le riserve non in sospensione d’imposta.
Il che, logicamente, conduce a interpretare la disposizione nel senso che la limitazione alla percentuale del 40% operava solo con riferimento ai redditi regolarmente dichiarati dalla società in un documento contabile, di talchè l’atipicità (quanto alle modalità della distribuzione) era riferita solo alla nomenclatura attribuita agli stessi dalla società, ma rimaneva condizionata al positivo riscontro della loro effettiva maturazione per effetto dell’inserimento in bilancio” (ordinanza 30/3/2021, n. 8730).
Poiché gli utili presunti in base ai ricavi extracontabili sono, per definizione, distribuiti al di fuori delle risultanze del bilancio, gli stessi sono tassabili senza la limitazione al 40% del loro ammontare.
Questa regola torna applicabile qualora (e nella misura in cui) i maggiori ricavi siano definiti con il pagamento dell’Ires dalla società partecipata nell’ambito del procedimento di accertamento con adesione (o in sede di conciliazione giudiziale dopo il ricorso), secondo una prassi dell’Agenzia delle Entrate volta ad evitare una doppia imposizione economica dello stesso provento reddituale.
Avv. Claudio Tiberti