POST 344
Con una decisione pubblicata il
16/3/2018 (ordinanza n. 6616), la Corte di Cassazione conferma il principio
secondo cui il divieto di prova testimoniale nel processo tributario “si riferisce alla prova testimoniale da
assumere con le garanzie del contraddittorio -di fronte al giudice- e non implica, pertanto, l’impossibilità di
utilizzare, ai fini della decisione, le dichiarazioni che gli organi
dell’amministrazione finanziaria sono autorizzati a richiedere anche ai privati
nella fase amministrativa di accertamento e che, proprio perché assunte in sede
extraprocessuale, rilevano quali elementi indiziari che possono concorrere a
formare, unitamente ad altri elementi, il convincimento del giudice”.
L’importanza del suddetto principio sta
nella successiva affermazione del Supremo Collegio secondo cui esso, “analogamente, vale per il contribuente”,
come avvenuto nella fattispecie concreta dove la parte, per resistere
all’accertamento induttivo di maggiori ricavi, aveva prodotto le dichiarazioni
dei clienti confermative dei costi (inferiori) delle prestazioni di servizi fatturate.
La valenza probatoria di tali dichiarazioni era stata riconosciuta dalla
Commissione Tributaria Regionale -con sentenza confermata sul punto dalla Corte
di Cassazione- sulla base della rappresentatività (poco più di 1/3) delle
stesse rispetto al numero complessivo (124) delle operazioni in accertamento e,
quantunque in maniera implicita, sull’assenza di contestazione delle
dichiarazioni medesime da parte dell’Agenzia delle Entrate.
La riconosciuta estensione delle
dichiarazioni di terzi anche a favore del contribuente va accolta con favore in
quanto attuazione del principio del giusto processo ex art. 6 della Convenzione
per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU).
Claudio Tiberti
Avvocato Tributarista